Il villaggio di Perruchon nel comune di Champorcher, in Valle d’Aosta, in occasione del Natale, si arricchisce di sculture lignee che rappresentano un presepe speciale.
In questo audio/video emozionale ho cercato di narrare e catturare le idee, la creatività e la magia di quanto si può ammirare lungo le stradine di questa incantevole frazione di montagna.
In occasione delle Mostre itineranti, in Italia e in Europa, della Fondazione Mansutti, istituzione unica nel suo genere, che valorizza il patrimonio storico delle Assicurazioni, sono state realizzate delle guide in modalità mediatica particolare, un mix di audio scritto e narrato, suoni, musiche e immagini originali.
La Fondazione deve molto al suo fondatore, l’appassionato collezionista Francesco Mansutti, il cuore entusiasta di tutto il lavoro di raccolta internazionale che dura da decine di anni.
Al momento la Mostra è a Genova, sebbene, a causa dell’emergenza in atto, non sia visitabile.
Le audio/video guide permettono di entrare nell’atmosfera storica dell’argomento trattato e di comprenderne i significati, nonchè rendere piacevole e più interattiva la visita.
Le informazioni che ci circondano sono troppe e afferrarle ci richiede energie e sforzi, che ci distolgono da ciò che è veramente essenziale. In primo luogo, quindi, è bene ridurre la complessità, utilizzando una rappresentazione matematica, quella dei grafi, e avvalendosi del parallelismo con il modo di funzionare e di correlare della mente umana. Oltre a semplificare la nostra visione del mondo, è possibile creare nuove aggregazioni fra i dati e le potenzialità che ci circondano. Un percorso di esplorazione, comprensione e rappresentazione, utile a semplificarci la vita, costruendo il nostro grafo personalizzato.
Uno sguardo sul mio Metodo dell’Essenzialità.
Ecco un estratto:
Credo sia ormai un cliché consolidato quello dell’omino schiacciato dalla mole di dati, potenzialità e opportunità che il nostro attuale mondo propina. A volte l’omino è rappresentato con un troneggiante e gigantesco punto interrogativo; a volte immerso in migliaia di numeri e formule incomprensibili; a volte in fuga; a volte estasiato di fronte allo spettacolo del caos, ma bloccato dal non sapere cosa farsene. Si tratta di vignette simpatiche quanto inquietanti e soprattutto rispecchianti con ironia una realtà che tutti abbiamo toccato con mano. È una sensazione molto comune, a livello sia personale sia organizzativo.
Rassicurarci di non essere soli è un piccolo sollievo, ma non aiuta concretamente. Sentiamo il bisogno di tornare all’essenziale. Ma che cosa significa veramente? Possiamo permetterci di perdere ciò che di prezioso ci offre questo mondo, in virtù del fatto che ci fa sentire smarriti e disorientati?
Abbiamo compreso che la vastità delle informazioni e delle potenzialità non è stata portatrice di benessere né di crescita, almeno non nella misura in cui ci era stata fatta presagire. Il mondo non è diventato un paradiso di opportunità. Non conta il volume degli stimoli, infatti, ma conta avere del materiale su cui lavorare e su cui concentrarci, per il nostro futuro.
Di stimoli siamo davvero pieni: internet e i media in generale ci bombardano di immagini, video, parole, suoni e contenuti multimediali, le persone intorno a noi sono esse stesse fonte di sollecitazioni. L’evoluzione non ci ha modellati per gestire tutto questo. Dall’altra parte, però, le opportunità di conoscenza e realizzazione sono elevate e intuiamo che non dovremmo perderci la possibilità di sfruttarle.
Quando il dilemma è posto in questi termini ci appare di difficile soluzione. In realtà io credo, invece, che una soluzione ci sia e che, tutto sommato, non si tratti di un dilemma, ma di una prospettiva distonica: la teoria dei grafi può venire in aiuto.
Descrivere il nostro mondo con la rappresentazione a grafo
La rappresentazione a grafo non è certo recente. Fu applicata per la prima volta nel 1736 a opera di Eulero. Oggi è ampiamente riscoperta per via dei social network e, in generale, delle reti di dati. La semplicità e la potenzialità di tale sistema di rappresentazione sono allettanti, soprattutto se ci soffermiamo sulla base teorica, senza ambire ad applicarvi le formule matematiche di calcolo, almeno non in prima battuta. La teoria dei grafi è una teoria matematica da cui si può estrarre con relativa facilità un utile approccio.
Il nostro cervello è molto complesso, ma anche molto semplice nel suo funzionamento concettuale: i neuroni sono assimilabili ai nodi, ovvero gli elementi che costituiscono il grafo, mentre le sinapsi svolgono la funzione degli archi, le linee di collegamento fra i nodi. I ricordi, le idee, le percezioni, le interpretazioni, le emozioni, i pensieri, sono tutti pattern, cioè quadri e percorsi di aggregazione tra neuroni.
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Ridurre la complessità
Occorre comprendere ciò che è importante per noi, rilevante, realmente significativo: in una parola, ciò che è essenziale. È questo il concetto su cui è modellato il Metodo dell’Essenzialità. Se riusciamo a distinguere ciò che è essenziale, al di là delle fonti da cui le caratteristiche derivano e al di là delle forme e delle strutture con cui giungono a noi, possiamo ridurre la complessità del mondo, senza perdere alcunché, semplicemente trasformando quelle caratteristiche varie e sparse in proprietà delle essenzialità. Nel linguaggio della teoria dei grafi, dobbiamo trovare le nostre entità, vederne le relazioni e convogliare le proprietà sui nodi e sugli archi. Come possiamo riuscirci?
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Autore: Paolo Speranza
Pubblicato sul numero 123 Agosto-Settembre 2017 di “Persone & Conoscenze”, Este ed.
Il cambiamento fa parte della nostra esistenza: è parte di noi e per questo non dobbiamo temerlo. Affrontiamolo con le nostre caratteristiche, modalità e potenzialità, calandolo nel nostro contesto. La resistenza al cambiamento è un ottimo antidoto per non farsi distrarre dal caos: rispettiamolo senza farci ostacolare. Lasciamoci ispirare da modelli e schemi, ma ricordiamoci che è il nostro piano di sviluppo a guidarci al meglio.
Ecco un estratto:
“L’azienda deve adeguarsi alle richieste del mercato”; “Bisogna adattare la nostra organizzazione al business”; “I nostri prodotti non sono più in linea con le richieste dei clienti”; “Dobbiamo essere più produttivi e impegnarci di più”; “Dobbiamo andare d’accordo e lavorare bene insieme”; “Bisogna modificare il modo di lavorare del gruppo”. Ognuno di noi potrebbe scrivere centinaia di queste frasi. Vere, verissime, ineccepibili. Tutte rivolte al cambiamento, non c’è dubbio, anche se non esplicitamente. Tutte parlano di uno sviluppo, a titolo personale e organizzativo.
Bruno Bara nel 2009 ha scritto: “Si può capire tutto, ma cambiare nulla”. Usando una metafora olimpica possiamo disporci sulla linea di partenza al grido agognato di “adesso si cambia”, convinti –a livello superficiale– di poter scattare e correre verso una meta idealizzata nel momento in cui lo starter darà il via. Eppure molto raramente questo accade, almeno con le modalità che riteniamo di dover attenderci.
Perché tutto ciò? Siamo delle persone deboli e incapaci? Le nostre organizzazioni sono mal strutturate? I collaboratori sono maligni e inconcludenti? Oppure tutto avviene al di fuori di noi e non ne abbiamo colpa, né abbiamo potere di intervenire? Facciamo un passo indietro. Ognuno di noi è prezioso e unico nel suo modo di essere. E questo vale per la persona come per l’organizzazione. Il valore e l’unicità di ognuno di noi non dipende da quanto riusciamo a realizzare e a esprimere, ma dalla nostra essenza. L’essenza, in effetti, è l’unica cosa che non cambia. Tutto il resto sì: la nostra biologia, il contesto in cui viviamo, le persone che incontriamo, ciò che facciamo e il modo in cui lo facciamo. Il cambiamento è una componente fondamentale e imprescindibile della nostra esistenza.
Abbiamo però bisogno di schemi e modelli per muoverci, altrimenti ci sentiremmo dispersi nel caos. Evolutivamente per questo abbiamo sviluppato la resistenza al cambiamento, un ottimo antidoto per continuare a operare secondo percorsi risultati efficaci, senza farsi distrarre dalle migliaia di stimoli che giungono ogni giorno alla nostra mente.
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Autore: Paolo Speranza
Pubblicato sul numero 114 Agosto 2016 di “Persone & Conoscenze”, Este ed.
Ero un ragazzo quando mi regalarono questo libro, “Il gabbiano Jonathan Livingstone” di Richard Bach. Lo lessi, con l’incanto di un adolescente e la semplice capacità di sognare che non ha età. Questo libro mi cambiò la vita per sempre. Oggi comprendo quanto sia pura libertà, pura innovazione, un racconto senza tempo, qualcosa che sarà sempre valido ed importante per ogni essere umano, che ascolti il suo gabbiano Jonathan Livingstone oppure no.
Come scrive Richard Bach:
Al vero gabbiano Jonathan Livingstone, che vive nel profondo di noi tutti
L’innovazione non ha che fare necessariamente con la tecnologia, l’invenzione, ciò che non è mai stato visto. A volte è straordinariamente innovativo ciò che appartiene al passato, più o meno lontano, in grado di mandarci un messaggio che la nostra cultura non contempla, la nostra quotidianità non mette a fuoco, le innumerevoli voci che gridano su ogni media si dimenticano, volutamente o no, di dirci.
Jonathan è l’immagine più autentica e limpida dell’innovazione e del cambiamento. In essa è possibile trovare in sintesi tutte le dinamiche e le proprietà più profonde che contraddistinguono l’innovazione: saper guardare oltre il comune sguardo, avere coraggio, sentirsi spesso soli, cercare e trovare soluzioni imprevedibili, sognare, provare rabbia iniziale ma anche profondo desiderio di condivisione, coinvolgersi nella meraviglia di cambiare, comprendere il valore della diversità e l’influenza della minoranza. Tutto in un racconto dalla semplicità disarmante.
Lasciatevi portare in volo da queste parole. Ciò che sentirete dentro di voi vi coinvolgerà, come pochi libri sanno fare.
Il film che ne seguì, nel 1973, non è da meno, secondo me. Emozioni e profondità con la stessa purezza del libro.