Ecco il video presentativo di questo corso speciale. Dacci un’occhiata.
Categoria: Corso
Alle prime battute di una due-giorni di Team Building uno degli esercizi-gioco consiste nell’assumere la prospettiva altrui, in pratica nel mettersi dei panni dell’altro, che non sappiamo fisicamente chi sia tra i partecipanti. E’ un esercizio apparentemente semplice, in realtà per nulla, ed efficace per aprire la nostra mente alla consapevolezza. Ciò che emerge a volte è sorprendente.
Durante una recente due-giorni di corso, condividemmo l’esercizio-gioco al termine del quale, oltre ad un po’ di divertimento, calò un certo silenzio.
Su invito ad esprimersi, un membro del gruppo, Marta, disse di essere rimasta turbata dal fatto di scoprire gli altri avere problemi simili ai suoi, sebbene con sfumature e soggettività ovviamente diverse. Proprio questa similitudine le aveva facilitato il compito di assumere la prospettiva di una sconosciuta o uno sconosciuto.
“E’ vero che siamo diversi, ma non lo siamo poi così tanto. Tendiamo sempre a difenderci, pensando che gli altri siano migliori o non abbiano le nostre difficoltà, oppure tendiamo a pensare che gli altri siano più freddi e tutto per loro sia più facile che per noi. Beh, ho capito che non è così”.
Giovanni, un altro membro del gruppo, disse: “Sì, è vero. Tutto sommato, siamo in grado di assumere la prospettiva degli altri. Non è impossibile”.
Altre voci si unirono al piccolo coro: “Capire che noi siamo gli altri per gli altri è banale, forse, ma illuminante”. “Sì, qualsiasi gruppo di persone, di qualsiasi natura sia il gruppo, dovrebbe pensarci e tenerne conto”.
Marta riprese la sua riflessione: “E’ sconvolgente per me scoprire che gli altri mi vedono in modo diverso da come io penso di essere vista, di riconoscermi tratti e attitudini che io non attribuisco a me stessa. Cavoli, mi rendo conto di quanto allora possa essere inefficace la comunicazione tra noi. Gli altri parlano ad una persona che io non mi riconosco essere…Dai, questa cosa è sconvolgente!”
Le rispose Giovanni: “Credo che tutti noi qui fossimo convinti che tu sapessi come noi ti vediamo”
Un altro membro del gruppo, Marco: “Beh, adesso lo sappiamo, sarà sicuramente più facile capirsi”.
Si era aperta una breccia davvero importante. Il percorso per ognuno di noi si delineava davvero interessante, nelle poche giornate insieme, ma soprattutto nelle tante giornate personali della nostra vita.
A chi serve, quindi, parlare di Team Building? Nessuno meglio di ognuno di noi può rispondere a questa domanda.
Le situazioni che percepiamo, o meglio valutiamo, come negative sono sempre e solo da combattere, ignorare, evitare? O c’è dell’altro, magari prezioso per noi?
Ad esempio, tutti consideriamo come un grosso problema il momento in cui ci sentiamo frustrati. Si tratta di un’emozione dalle forti risonanze di difficile gestione. Ma perché ci sentiamo frustrati? Che cos’è la frustrazione?
Proviamo ad avere un approccio osservativo, senza paura. Il perchè è importante almeno quanto il come e il quando. Dobbiamo soltanto liberarcene? Possiamo gestirla? Possiamo addirittura esplorarla ed accoglierla, come una lettera da aprire?
La frustrazione è la delusione per il mancato appagamento di un’aspettativa. E’ il sentimento di chi ritiene che il proprio agire sia stato o sia vano.
Vi siete mai sentiti in ansia in situazioni organizzative in cui in apparenza non vi sono elementi stressogeni né cause scatenanti? L’ansia ci sta avvisando che siamo vulnerabili alla frustrazione. Perché? Non è detto che lo scopriamo con facilità, nè tantomeno che siamo disposti a vedere ed accettare di vedere ciò che non quadra. Questa è una potenziale trappola che dovrebbe farci suonare un campanello di allarme.
Invece di gettare via la lettera, proviamo ad aprirla? Siamo disposti a guardarci dentro, a soffermarci sulla negatività? Non spaventiamoci, probabilmente non è così oscura e terrificante come temiamo. E sicuramente qualcosa da dirci ce l’ha.
C’è un corso specifico nel mio Catalogo Personale che affronta tale argomento, l’uso potenziale delle situazioni negative. Scrivimi se può interessarti.
Durante un corso di team building, un partecipante, all’apertura della giornata formativa, disse: “Io sono qui perché mi hanno detto di venirci, ma questo corso andrebbe seguito dai nostri manager, non da noi, e da me in particolare”.
Il formatore sorrise e non rispose subito. Osservò il gruppo di persone che erano riunite in quella stanza. Poi disse: “Oggi noi siamo un gruppo e siamo tutti uguali qui, in questo momento, al di là dello status, del ruolo e delle mansioni che ricopriamo nell’organizzazione”.
Poi proiettò una citazione.
“La teoria generale dei sistemi ci spiega che qualsiasi cambiamento in un oggetto del sistema è interdipendente ad ogni parte del sistema stesso. Ogni parte, per quanto piccola, ha il potere di influire sul comportamento dell’insieme” (Teoria generale dei sistemi. Fondamenti, sviluppo, applicazioni)
Il partecipante non intervenne. Forse era vero, che non avrebbe voluto essere lì, ma la sua presa di posizione era soltanto la punta dell’iceberg, al di sotto si muoveva un mondo di interessi, valori e bisogni, che avevano plasmato la superficie.
C’è qualcosa di affascinante ed importante per il nostro futuro nell’indagare e comprendere quella parte meno visibile del nostro comportamento. E qualsiasi spunto di riflessione vogliamo far emergere dentro di noi e dentro il nostro gruppo di appartenenza, che sia la rete di comunicazione, la diversità, la coesione, la motivazione, la cultura di gruppo, sappiamo che sarà in grado di innovare, anche fosse solo un piccolo passo, anche fosse solo un lumicino nel buio. E l’effetto non è mai insignificante.
C’è un corso specifico nel mio Catalogo Personale che affronta tale argomento. Scrivimi se può interessarti.
C’erano una volta numerose pellicole di fantascienza che ci dilettavano con l’immagine di un futuro in cui i conflitti (e le ingiustizie) non esistono più e la pace regna sovrana, in virtù dell’uso esclusivo della razionalità, a scapito dell’emotività. Salvo poi assistere sistematicamente al tracollo dello stesso sistema per via della “disumanità” insita nel meccanismo governativo e degli effetti dell’assenza di conflitto.
Eh sì, perchè l’assenza di conflitto è deleteria e distruttiva tanto quanto lo è l’elevata conflittualità, in modo speculare. Strano a dirsi e quasi pericoloso affermarlo, in quanto tutti siamo propensi a vedere nel conflitto la negatività sublime, da interrompere a tutti i costi. Eppure diversi studiosi hanno dimostrato il contrario di quello che si pensa. Sto parlando evidentemente di conflitti privi di aggressione fisica e psicologica, in generale privi di minacce per l’incolumità delle parti.
Il grafico sotto è ormai sufficientemente noto (vedi Comportamento organizzativo). Mostra chiaramente la dinamica di questa tesi controintuitiva.
Le migliori prestazioni di un gruppo di lavoro si ottengono in caso di moderata conflittualità, possibile generatrice tra l’altro di innovazione, e non nei due estremi.
E’ chiaro che questo ci fa capire, o almeno intuire, il potenziale costruttivo e non solo distruttivo del conflitto.
Certo, esiste un mondo da esplorare al di sotto della superficie. Le prese di posizione in caso di conflitto, infatti, non sono che la punta dell’iceberg, come spiega la teoria di John Burton. Sono frutto di interessi personali, che rappresentano il conflitto reale e non soltanto quello apparente. Questi sono dettati da valori umani e sociali, a loro volta fondati sui bisogni umani fondamentali (un po’ datata, ma sempre valida, è la piramide dei bisogni di Maslow). Insomma, le forze in gioco in caso di conflitto sono molteplici, l’importante in prima battuta è non soffermarsi esclusivamente sull’apparenza, essere consapevoli delle radici della diversità.
Anche in questo caso, e soprattutto in questo caso, cerchiamo di essere innovativi e di essere capaci di guardare al di là del mero comportamento manifesto.
C’è un corso specifico nel mio Catalogo Personale che affronta tale argomento. Scrivimi se può interessarti.